La Villotta, anima del Friuli
La villotta friulana, come tutti i canti popolari di ogni paese, è una manifestazione d’arte e di cultura tradizionali, tramandata di generazione in generazione, inizialmente grazie alla trasmissione orale, mai scritta. Le raccolte di canti popolari sono state infatti realizzate in un secondo tempo a partire dal 1865 quanto ai versi, e solo dal 1892 quanto alla musica. Il movimento romantico, fiorito nella prima metà dell’ottocento, scoprì proprio nelle tradizioni popolari e soprattutto nei canti storici la testimonianza di un’unità spirituale nazionale, sopravvissuta a tutte le invasioni e a tutte le divisioni politiche: da qui la riscoperta delle patrie, grazie appunto al “lievito” delle tradizioni dissepolte. È certo che il canto popolare – e per noi friulani la villotta – costituisce parte integrante della nostra cultura e della nostra civiltà, e contribuisce a formare la nostra “immagine” quale appare a noi stessi e agli altri, specie se stranieri.
LE CARATTERISTICHE
Di solito una villotta nasce casualmente dall’ispirazione di un singolo individuo. Se il motivo è orecchiabile e risponde al gusto e alla mentalità dei presenti, la melodia e i versi sono facilmente imparati: la villotta passerà di bocca in bocca, da un luogo all’altro. L’autore, naturalmente, sarà ben presto scodato, mentre la villotta si diffonderà ed entrerà a far parte del repertorio regionale. In questa propagazione, che avviene oralmente, la canzone subisce modifiche, adattamenti, varianti, per cui una stessa villotta può essere eseguita in modo diverso a seconda delle località, fatto che conferma il processo di trasmissione del canto popolare. Questa teoria sulla genesi della villotta è supportata dal fatto che spesso nella sua struttura un singolo intona la melodia; dopo poche note entrano tutte le varie voci, disponendosi in accordo, quindi il tema resta affidato ad un gruppo di cantori, mentre gli altri accompagnano lo spunto con note di armonia. Oltre alla polifonia, un’altra particolarità dei canti friulani è l’uso pressoché esclusivo del tono maggiore, adatto ad esprimere la gioia, la forza, il vigore, sintomo rivelatore del carattere del popolo friulano. Ciò non significa che la nostra gente ignori il dolore, la tenerezza, la nostalgia, ma questi sentimenti non si abbandonano mai a una cupa disperazione e sconforto: quindi anche la tristezza viene espressa mediante il tono maggiore, il modo “forte”. Il Friuli è l’unica regione dove si usa l verso ottonario (nel resto d’Italia prevale l’endecasillabo), a meno che non si tratti di canzoni di autori colti, canti religiosi o connessi alla danza (es. Stajare, Ziguzaine). La brevità stessa dei componimenti, spesso costituiti da un’unica quartina, richiede concisione, semplicità schiettezza di pensiero. Lo svolgimento del tema semmai è affidato al giro melodico del canto, all’aria semplice ed espressiva, specie nelle note finali, che prolungano il pensiero in onde indefinite. Perciò la villotta non può essere interamente apprezzata se non con l’accompagnamento delle sue note musicali. Anche Pierpaolo Pasolini, nelle sue Noterelle sulla poesia popolare friulana, evidenzia l’originalità della villotta rispetto al resto del canto popolare italiano, e conclude così la sua argomentazione: «Brevità metrica, che del resto si fa profonda nell’intimità dei contenuti, e vasta nella melodia: a esprimere come si canta uno spirito talvolta ciecamente malinconico, malinconico come possono esserlo certi sperduti dossi prealpini, di sera, d’inverno; e talvolta colmo invece di un’allegria accoratamente rozza, sgolata, di cui si empiono piazzette e orti nei vespri odorosi di pino, nelle notti tiepide.» I canti sorti in maniera così spontanea furono raccolti pazientemente da alcuni appassionati che li classificarono a seconda de temi e della provenienza. Uno dei principali raccoglitori dei canti popolari fu Luigi Garzoni (1890 – 1972): ad essi aggiunse le voci di accompagnamento secondo la polifonia della tradizione corale del canto friulano, compiendo quindi un’opera di armonizzazione, non elaborazione. Sue In che sere, Ce ligrie, Vin sudat. Arturo Zardini attorno agli anni ’20 musicò villotte e testi poetici con tale aderenza allo spirito tradizionale, che esse fanno ormai parte del nostro repertorio popolare. Alcune tra le più belle villotte del nostro repertorio sono state composte da lui. Tra queste Stelutis Alpinis; La Roseane; La stàjare; Il cjant de Filologiche Furlane.
I TEMI
Si può affermare che le villotte raccontano la vita: i soggetti sono diversi, la natura, il lavoro, l’amore, la nostalgia, la tristezza, l’allegria, la spiritualità, come tanti sono gli stati d’animo e le esperienze che ciascuno di noi vive. In queste righe si susseguono in un ideale concerto molte villotte che l’Artugna ha cantato in diversi momenti, quasi come in un racconto di vita, di “vita friulana” anche se per noi “di la da l’aghe” non si tratta di friulanità in senso stretto, ma di modo semplice, genuino e profondo di sentire e vivere la vita. La villotta friulana è diffusa esclusivamente in ambito regionale, sconosciuta nella tradizione popolare al di fuori dell’area linguistica del Friuli, dove si parlano dialetti di tipo veneto, o si entra in area tedesca e slovena, dove il friulano risulta incomprensibile. In effetti elemento caratterizzante della friulanità è anche la lingua, la madre lingua, della quale Il ciant de la Filologiche è un vero e proprio inno.
Il Ciant de Filologiche Furlane |
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Un salût ’e Furlanìe Da lis monz insìn al mâr: donge il mâr il sanc dai mârtars, su lis monz il lôr altâr. E la nestre ciare lenghe, va des monz fin al Timâf: Rome ’dîs la sô ljende sul confin todésc e slâf… Che tu crèssis, mari lenghe Sane fuarte se Dio ’ûl, che tu slàrgis la tô tende su la Ciargne e sul Friûl. Che tu vadis, mari lenghe, serie e sclete intôr intôr. Tu confuàrtis dut chest pòpul Salt, onest, lavoradôr. |
Tema prevalente delle villotte è l’amore, sentimento a cui ogni altro è subordinato, ad esempio il fascino della natura è perlopiù invocato in quanto occasione per ricordare un idillio, spunto per esprimere pensieri rivolti alla persona diletta.
A planc cale ‘l soreli |
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A planc cale ‘l soreli daûr di une alte mont. ‘Ne grande pâs a regne ch’e par un sium profont. E lis piorutis mangjn jarbutis ch’a son là. Il to pinsîr, o biele, cui sa là c’al sarà! |
Dai monti alla campagna cambia solo il paesaggio: è dolce immergersi nelle suggestive scene evocate dalle parole e dalla melodia, che rievocano caldi tramonti in cui la natura fa da sfondo e fornisce lo spunto per romantici pensieri.
In chê sere |
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In chê sere i grîs ciantàvin vie pai prâz dal Natison Lis acàziis svintulàvin E ’nulìvin cussì bon. In chê sere ’o ti ài viodude a tornà sul ciàr dal fen. Di lontan po’ ti ài sintude. Tu ciantàvis cussì ben. |
Scene di vita contadina, e in particolare del periodo della vendemmia, con l’allegria che lo caratterizza, sono il soggetto di numerosi brani.
Ce ligrie |
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Ce ligrie fûr pe campagne co son duc’ a vendemâ, co scomènzin lis fantatis morbinôsis a cjantâ! E no impuarte se tal ûltin son spueâz duc’ i vignâi, ché, finide la vendeme, si prepàrin i bocâi. |
Infatti dopo un anno di cure, arriva il momento di gustarsi l frutto genuino del lavoro, a meno che l’oste non faccia brutti scherzi…
’Vîn sudât |
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’Vîn sudât dut l’an par fâlu ’vîn cirût di fâlu bon e cumò volìn provâlu o pe spine o pal cjalcon. Si pó bèvint une brente quan’ che ’l vin a l’é sancîr ma cui sa ce c’al devente te cantine de l’ustîr! |
E il vino naturalmente è essenziale nelle feste in compagnia, dove diventa un piacere ballare una travolgente Staiare anche con una ragazza non proprio bellissima.
La stàjare |
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Vorès balâ la stàjare cun t’une pueme in dàlminis, uciànt a son di armòniche di tìntine e liròn. Bati il tac a ogni pìrule fra il svoletâ des còtulis fra il talponâ des zòculis sul ciast a pitintòn. Ce varèssio mai di fâ, dome di cujetâ – la me passion!? Po, cu’ la pueme in grìngule bionde, grassute e cràcule, dâi dentri a timp di mùsiche a un bocâl nostràn. E co zire la cògume jesci tal fresc c’al stùzzighe Sot lis stelis che slùsignin tigninsi par la man… Lêgris fin ch’i sìn vîs! Tachìn insieme amîs Tachìn un ciant: Viva viva la ligrie Viva ’l vin la compagnie! Lassìn sta ogni dolôr: viva ’l vin e viva l’amôr! |
E dopo l’innamoramento, si può pensare al matrimonio, ma le friulane non si accontentano facilmente.
Se jo ’vès di maridâmi |
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Se jo ’vès di maridâmi un cialiâr no ciolarès; dut il dì a bati suèlis e ance me mi batarès. |
Lo stesso discorso vale anche fuori dal Friuli, specialmente quando anche la mamma si mette a dare il suo parere:
Xe un calighèr |
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Xe un calighèr la mia mama la me vol dar. Calighèr che fa le ghete ora larghe ora strete, xe un calighèr? Dighe de no! |
Ma prima o poi arriva il gran giorno: fra i riti di passaggio che scandiscono i momenti salienti del ciclo della vita, il matrimonio è quello che in Friuli ha maggiormente conservato importanti aspetti tradizionali. I comportamenti consuetudinari comprendono tuttora, oltre al cerimoniale cristiano, diversi elementi popolari, tra cui l’uso di specifici canti.
Je rivade la zornade |
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Je rivade la zornade, se no fali a je doman. Quant che jo voi vie di chenti, fin lis pieris a vajaran In chel di da lis nes gnocis Ce allegrie ch’a sarà. |
Ben presto ci si accorge che l’amore non è solo poesia, quindi subentra l’ironia:
Viva l’amor |
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E me marì l’è bon, e l’è tre volte bon, al sabo e alla domenega ‘l me paga col baston. E viva l’amor che vien che va E viva l’amor e chi lo sa far. No la me vol pì ben, la me da zo ‘l velen la prega dì e not che crepe e inveze mi sto ben. |
Le villotte non sono solo d’ispirazione amorosa: spesso i testi rivelano un attaccamento più o meno celato alla propria terra, alla sua gente e alle nostre radici, tema tanto più sentito in quanto legato al drammatico fenomeno dell’emigrazione.
Oh ce biel cis’ciel a Udin |
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Oh ce biel cis’ciel a Udin, oh ce ciare zoventût. Zoventût come a Udin no s’in ciate in nissun lûc. |
Anche un incontro casuale rievoca nostalgicamente il proprio paese:
La Roseane |
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’Ai cjatât ’ne biele frute bionde , sane, fate ben, cu’ la cotule curtute, bielis spalis, un biel sen. Cun rispièt ’i doi la man, e ’i domandi là che stà. Jéi mi dîs: -Lui l’è furlan! Ance jo ’soi su di là. Da la Russie l’antenât stabilît sot il Cianìn Il miò ben al è soldât, ’l’è di Resie, ’ l’è un alpìn! La beleze de valade, i paîs pojaz sul plan…: de me val soi ’nemorade, soi di Resie, ’o sin furlàs. |
Oltre all’emigrazione il popolo friulano ha conosciuto anche la guerra, delicatamente rievocata dalle parole di “Stelutis alpinis” che suscitano sempre commozione sia nei giovani che negli anziani.
Stelutis alpinis |
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Se tu vens cà sù ta’ crétis là che lôr mi àn soterât al è un splàz plen di stelutis, dal miò sanc l’è stât bagnât… |
Naturalmente non manca il tema religioso, in cui traspare una particolare devozione alla Madonna, a cui sembra essere affidata la “Piccola patria” del Friuli.
Ave o Vergine us salúdi |
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Ave o Vergine us salúdi come l’ágnul ánce jo; ave o pléne d’ogni grazie, il Signôr al é cun Vô. Dáimi dáimi une cjaláde Cun chel vôli plen d’amôr O gran Mári imacoláde O colombe dal Signôr. E lus une Mári divine Sul mar su lis monz dal Friul Ta l’albe e te sere cidine i tors e spalanchin il cur. Mari divine ven ju! Ven ju cul Frut cul to cil. Vai tu sas ancje tu Tal mont che il Fi ti à tradît Poiti sul cûr dal Friul gjolt pal amôr che ti ûl. |
Canto e danza non sono scollegati, visto che noti ritornelli accompagnano i passi delle nostre coreografie. Merita un discorso a parte un altro gruppo di canti appartenuti al repertorio dell’ “Artugna”, per la loro esclusività: essi infatti sono scritti proprio nel nostro bel dialetto dardaghese, che certo non pretende di essere una lingua, ma ci identifica in maniera ancora più personale e unica. Questi pezzi sono stati scritti dal nostro compaesano Cornelio Zambon e musicati dalla Prof.ssa Tina Favia…. Essi sono raccolti in una particolare partitura curata dal nostro gruppo a cui rimandiamo.